D'Annunzio e la Musica
Sin dall'infanzia, Gabriele
D'Annunzio ebbe un rapporto strettissimo con la musica, tanto da prendere
lezioni di pianoforte e contemporaneamente di violino dietro suggerimento del
padre.
D'Annunzio possedeva un violino prodotto probabilmente
da Jakobus Steiner (1617 - 1683), uno dei più illustri liutai del Tirolo.
Nella villa di Gardone
Riviera c'è una parte del giardino che ha la forma di un
violino ed è chiamata giardino delle danze.
D'Annunzio sapeva suonare
anche la chitarra e spesso trascorreva il pomeriggio con essa. Era un finissimo
conoscitore dell'opera musicale: privilegiava il sinfonismo di Beethoven, la poesia pianistica di Chopin e di Schumann, il lirismo di Giuseppe Verdi e non dimenticava mai di
prestare attenzione anche ai capolavori e alle innovazioni della sua epoca.
Disdegnava la banda di Pescara, da lui definita brigantesca e si concentrava all'ascolto
dei quintetti sgambatiani che Giovanni Sgambati, discepolo di Franz Liszt, teneva a Roma nella Sala Dante, alla
presenza della Regina Margherita.
D'Annunzio prestò numerosi
suoi testi alla scena musicale.
Amico di Giacomo Puccini e Arturo Toscanini , memorabile è il concerto che
Toscanini tenne con l'orchestra del Teatro alla Scala nel 1920 a Fiume. (Wikipedia)
Era intimo amico di Francesco Paolo Tosti, il cosiddetto Re della romanza. D'Annunzio fornì a Tosti
numerosi testi da musicare. Il più famoso è senz'altro uno dei capolavori della canzone napoletana: A vucchella. Scritta da D'Annunzio nel
1892 in seguito ad una scommessa con Ferdinando Russo al tavolino del Caffè
Gambrinus di Napoli, divenne un successo internazionale quando fu cantata da Enrico Caruso. Russo diede il testo a Tosti
che lo musicò e la celeberrima canzone fu pubblicata da Ricordi nel 1904 con la sua data di
composizione. Tra le altre romanze di Tosti con i versi di D'Annunzio, merita
d'esser ricordata anche L'alba separa dalla luce l'ombra , famosissima lirica tratta
dalle Quattro canzoni dell'Amaranta.
qui autografo del Tosti su Notturno di
Gabriele D'Annunzio, 1911
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