martedì 11 marzo 2014

S3/b Italiano Poesia ...


Ascoltiamo i tre grandi

Ungaretti, Montale e Quasimodo...

Giuseppe Ungaretti 
(Alessandria d'Egitto 1888 - Milano 1970)


la poesia secondo Giuseppe Ungaretti



La poesia di Ungaretti creò un certo disorientamento sin dalla prima apparizione del Porto Sepolto. ... Non mancarono polemiche e vivaci ostilità da parte di molti critici tradizionali e del grande pubblico. Non la compresero, per esempio, i seguaci di Benedetto Croce, che ne condannarono il frammentismo.
A riconoscere in Ungaretti il poeta che per primo era riuscito a rinnovare formalmente e profondamente il verso della tradizione italiana, furono soprattutto i poeti dell'ermetismo, che, all'indomani della pubblicazione del Sentimento del tempo, salutarono in Ungaretti il maestro e precursore della propria scuola poetica, iniziatore della poesia «pura». Da allora la poesia ungarettiana ha conosciuto una fortuna ininterrotta. A lui, assieme a Umberto Saba e Eugenio Montale, hanno guardato, come un imprescindibile punto di partenza, molti poeti del secondo Novecento. (Wikipedia)
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Eugenio Montale Premio Nobel per la letteratura nel 1975
( Genova 1896 - Milano 1981)


Alcuni caratteri fondamentali del linguaggio poetico montaliano sono i simboli: nella poesia di Montale compaiono oggetti che tornano e rimbalzano da un testo all'altro e assumono il valore di simboli della condizione umana, segnata, secondo il poeta, dal malessere esistenziale, e dall'attesa di un avvenimento, un miracolo, che riscatti questa condizione rivelando il senso e il significato della vita. In Ossi di seppia il muro è il simbolo negativo di uno stato di chiusura e oppressione, mentre i simboli positivi che alludono alle possibilità di evasione, di fuga e di libertà, sono l'anello che non tiene, il varco, la maglia rotta nella rete. Nelle raccolte successive il panorama culturale, sentimentale e ideologico cambia, e quindi risulta nuova anche la simbologia ( Wikipedia )

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Salvatore Quasimodo premio Nobel per la Letteratura nel 1959
(Modica - Ragusa 1901- Napoli 1968)


Formatosi nel gusto della poesia ermetica fra Ungaretti e Montale, più vicino a quello per l'essenzialità quasi epigrammatica dell'espressione, per l'altezza del tono, più affine a questo per le soluzioni paesistiche del suo analogismo, Quasimodo è venuto temperando tali influssi originari in un linguaggio poeticamente sempre più autonomo, che libera quella sua intensa sensualità in trepide visioni. (enciclopedia on line Treccani)

Le tragiche esperienze del conflitto indussero in particolare il poeta ad allontanarsi dagli aspetti più rigidi dell'Ermetismo, ad abbandonare le meditazioni solitarie e ad avvicinarsi a tutti gli uomini, nel tentativo di aiutarli nella ricostruzione degli antichi valori. Ciò notiamo soprattutto in Giorno dopo giorno (1949) e nella raccolta successiva La vita non è un sogno (1949) e in genere in quella parte della sua produzione che è la più apprezzata dai critici e la più ricca di valori e di significati. Tra gli elementi più importanti di questo periodo appaiono il rinnovamento del linguaggio ed un arricchimento dei temi, nell'ambito dei quali trovano posto importanti istanze sociali. È significativa inoltre la volontà dell'autore di agire per la trasformazione della realtà e per la realizzazione di un mondo migliore.


9 commenti:

  1. Eugenio Montale - Ossi di seppia - Meriggiare

    Meriggiare pallido e assorto
    presso un rovente muro d'orto,
    ascoltare tra i pruni e gli sterpi
    schiocchi di merli, frusci di serpi.

    Nelle crepe dei suolo o su la veccia
    spiar le file di rosse formiche
    ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
    a sommo di minuscole biche.

    Osservare tra frondi il palpitare
    lontano di scaglie di mare
    mentre si levano tremuli scricchi
    di cicale dai calvi picchi.

    E andando nel sole che abbaglia
    sentire con triste meraviglia
    com'è tutta la vita e il suo travaglio
    in questo seguitare una muraglia
    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia

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  2. Giuseppe Ungaretti - Soldati
    Bosco di Courton luglio 1918

    Si sta come
    d'autunno
    sugli alberi
    le foglie.

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    1. A Giuseppe Ungaretti abbiamo dedicato il Post sulla Poesia di febbraio!!

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  3. Salvatore Quasimodo
    Lettera alla madre
    «Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
    il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
    gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
    non sono triste nel Nord: non sono
    in pace con me, ma non aspetto
    perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
    da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
    come tutte le madri dei poeti, povera
    e giusta nella misura d'amore
    per i figli lontani. Oggi sono io
    che ti scrivo. » - Finalmente, dirai, due parole
    di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
    e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
    lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
    «Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
    di treni lenti che portavano mandorle e arance,
    alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
    di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
    questo voglio, dell'ironia che hai messo
    sul mio labbro, mite come la tua.
    Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
    E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
    per tutti quelli che come te aspettano,
    e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
    non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
    tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
    del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
    non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
    Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
    morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater. »

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  4. Salvatore Quasimodo
    Ed è subito sera

    Ognuno sta solo sul cuor della terra
    trafitto da un raggio di sole:
    ed è subito sera

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    1. Ed è subito sera è una poesia di Salvatore Quasimodo, una delle più brevi e famose dell'autore, scritta sotto l'impulso di un'improvvisa folgorazione, secondo il criterio ermetico. La sua struttura è brevissima, con versi liberi molto intensi. Quest'opera appartiene ad Acque e terre, la prima raccolta, pubblicata nel 1930, delle liriche scritte dal poeta dal 1920 al 1929 (alcune delle quali erano già apparse su Solaria) e rappresenta, insieme a Oboe sommerso, la fase del primo Quasimodo. Ed è subito sera è compresa nella raccolta omonima (pubblicata nel 1942), delle sue poesie.

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  5. Gloria del disteso mezzogiorno

    Gloria del disteso mezzogiorno
    quand'ombra non rendono gli alberi,
    e più e più si mostrano d' attorno
    per troppa luce, le parvenze, falbe.

    Il sole, in alto, - e un secco greto.
    Il mio giorno non è dunque passato:
    l'ora più bella è di là dal muretto
    che rinchiude in un occaso scialbato.

    L'arsura, in giro; un martin pescatore
    volteggia s'una reliquia di vita.
    La buona pioggia è di là dallo squallore,
    ma in attendere è gioia più compita.


    (Eugenio Montale, Ossi di seppia)

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    1. a cura di Selene ANALISI DELLA POESIA : “Gloria del disteso mezzogiorno” di Montale

      Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896, trascorse la sua giovinezza in Liguria, frequentando gli ambienti culturali di Genova e, successivamente, di Torino. Nel 1925 pubblicò la sua prima raccolta poetica, “Ossi di seppia”, ed iniziò l’attività di critico letterario e, come tale, ebbe il merito di scoprire e rivelare al pubblico italiano l’opera di Italo Svevo. Nello stesso anno fu tra i pochi a sottoscrivere il manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Collaborò a varie riviste letterarie. In urto con il fascismo, durante la seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza. Dopo la guerra riprese la sua attività di critico letterario, collaborando anche al Corriere della sera. Nel 1967 fu nominato senatore a vita per meriti letterari, nel 1975 ottenne il premio Nobel per la letteratura. Morì a Milano nel 1981.

      Per rompere con la tradizione letteraria, Montale utilizza strofe di varia lunghezza, versi liberi, non legati da rime e misure fisse, e vocaboli di timbro comune, familiare. Questa poesia è comunque in metrica quasi regolare: sono tre quartine in endecasillabi (versi di 11 sillabe) tranne il secondo verso che è un novenario, il quinto e l’undicesimo che sono dodecasillabi. Le rime sono varie (A/A/, /B/B, CDCD) e irregolari (greto muretto).
      La poesia è dedicata alla natura e al rapporto che il poeta intrattiene con essa. Il paesaggio è quello assolato e accecante delle ore più calde dell'estate. Nei versi della prima strofa le linee del paesaggio si definiscono nella totale assenza dell'«ombra» e nell'eccesso di luce abbagliante, che trasforma in modo uniforme il colore delle cose, rendendole simili a « parvenze ». Compare così il motivo dell'aridità, a rappresentare una condizione esistenziale, e che si ripropone anche nel resto della poesia: « un secco greto », « l'arsura, in giro », « una reliquia di vita», «squallore». Il discorso si costruisce attraverso l'elencazione di oggetti.
      Il paesaggio descritto, nel primo verso della quartina centrale, è molto semplificato e ridotto a due elementi, a due punti estremi lontani tra loro: « Il sole, in alto », e, ai piedi, « un secco greto ». In questi due estremi opposti sembra nascosto il segreto della vita, estrapolato dalla descrizione della realtà alla dimensione personale dell’autore. Il paragone con la realtà garantisce fiducia nella possibilità di sopravvivere (verso 6: «Il mio giorno non è dunque passato»), lasciando aperta la strada della speranza (quella della «buona pioggia», al verso 11, che verrà dopo lo « squallore »). Ma la vera « gioia » non è nell'appagamento del desiderio, piuttosto nell'attesa di esso.
      In questa lirica, il male di vivere, motivo ricorrente nei versi di Montale, sembra aprirsi a uno spiraglio di speranza. L’ora presente è avara ed ostile, un paesaggio riarso, ma nell’attesa del bene futuro, la pioggia, vi è già un presentimento di gioia, anzi vi è gioia “più compita”.
      Come nel componimento “Meriggiare pallido e assorto”, anche qui il poeta insiste su motivi aspri e forti, tipici della sua Liguria: un sole nel pieno fulgore dell’estate, “un secco greto”, una “reliquia di vita”, “la buona pioggia di là dallo squallore”… Immagini e parole si accordano rendendo in tutta la sua asprezza il paesaggio di luce e di arsura.
      Penso che questa lirica sia magica, ma non come un incantesimo di Harry Potter, piuttosto come una magia che riesce a scostare una leggera tenda e mostrarci un paesaggio ricco di significato, un significato che il Porta mostra al lettore attento. Questo “potere” lo possiede pure D’Annunzio e ciò mi fa credere che anche il poeta abruzzese possa regalarci le stesse intense emozioni di un Montale.

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  6. Portami il girasole ch'io lo trapianti

    Portami il girasole ch'io lo trapianti
    nel mio terreno bruciato dal salino,
    e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
    del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
    Tendono alla chiarità le cose oscure,
    si esauriscono i corpi in un fluire
    di tinte: queste in musiche. Svanire
    è dunque la ventura delle venture.

    Portami tu la pianta che conduce
    dove sorgono bionde trasparenze
    e vapora la vita quale essenza;
    portami il girasole impazzito di luce.


    (Eugenio Montale, Ossi di Seppia)

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